Probabilmente il fisico non pronunciò mai questa frase, un poco come successe a Machiavelli con il celeberrimo “Il fine giustifica i mezzi”, ma riassume sicuramente bene un suo pensiero, decisamente più articolato, e come già anticipato può essere riassunto così: “Se la nostra galassia pullula di civiltà evolute, dove sono tutte quante?” Questa frase solitamente è pronunciata per riportare alla ragione gli ottimisti sulla vita extraterrestre e ha 5 soluzioni piuttosto affascinanti. La soluzione 1 è la più semplice: “Siamo soli nell’Universo”. È legata al fatto che la probabilità di sviluppo di forme di vita è molto bassa perché dipende da diversi fattori, tutti fondamentali. Innanzitutto, è necessario che il pianeta sia alla giusta distanza dalla sua stella, che l’asse di rotazione abbia una determinata inclinazione rispetto al piano orbitale e che la rotazione si mantenga all’interno di un ben definito range di velocità. È necessario poi che la velocità di rivoluzione e l’eccentricità dell’orbita siano adeguate e che, possibilmente, siano presenti dei satelliti naturali. Inoltre, e non meno importanti, sono i fattori di natura chimica e biologica: un DNA in grado di autoreplicarsi è piuttosto eccezionale ed è necessario, inoltre, che si verifichino, in successione, mutazioni favorevoli per consentire l’adattamento alle caratteristiche ambientali del pianeta in modo tale da condurre ad una specie intelligente. Le obiezioni a questa soluzione si fondano sostanzialmente su due concetti: si ipotizzano esclusivamente forme di vita basate sul carbonio e con l’acqua come solvente principale (il caso della vita sulla Terra) e non sono chiari i dati di partenza in base ai quali viene stimata la bassissima probabilità di sviluppo di forme di vita. Insomma, personalmente non sono affatto d’accordo con la soluzione numero 1 del paradosso. La soluzione numero 2 è la seguente: “Le civiltà evolute hanno una breve durata” e quindi la probabilità che il messaggio inviato da una civiltà evoluta possa essere captato da un’altra civiltà evoluta è praticamente nulla. La breve durata sarebbe da ascrivere al fatto che una civiltà può essere annientata, o riportata a livelli primitivi (perdendo così la capacità di comunicare con eventuali civiltà aliene) da diversi fattori: geopolitici (come guerre mondiali con utilizzo di ordigni atomici di distruzione di massa), naturali (cambiamenti climatici, super eruzioni di vulcani in grado di oscurare l’atmosfera per lunghi periodi), astronomici (impatto di asteroidi, tempeste solari non sufficientemente schermate dal campo magnetico e dall’atmosfera del pianeta), biologici (pandemie, mancato adattamento alle nuove condizioni ambientali). Come visto dal precedente capitolo, si stima che, da quando è in grado di inviare onde radio, una civiltà evoluta abbia una vita di circa 10.000 anni: se questo periodo non si sovrappone a quello di un’altra civiltà evoluta (fattispecie piuttosto probabile vista la breve durata) allora il messaggio eventualmente inviato si perderà nello spazio senza poter essere intercettato; oppure, potrà essere intercettato a distanza di migliaia o milioni di anni dall’estinzione della civiltà che lo ha prodotto e trasmesso. Questa soluzione, a mio parere, è sicuramente più solida della prima, ma come l’altra non mi convince appieno: siamo ormai da anni in grado di intercettare segnali radio provenienti anche dal profondo universo e, un eventuale segnale alieno anche proveniente dalla notte dei tempi, avremmo dovuto captarlo. La soluzione numero 3 afferma che “Altre civiltà esistono, ma sono troppo lontane”. Si tenga presente che, pur viaggiando alla velocità della luce, i segnali inviati oggi arriverebbero nella galassia più vicina (Andromeda) non prima di 2,5 milioni di anni. Questa soluzione ha pertanto tre corollari, ovvero tre conseguenze matematiche: “Siamo soli nella nostra galassia”, ovvero “Altre civiltà presenti nella nostra galassia non sono ancora arrivate ad un tale livello tecnologico da poter inviare né ricevere segnali radio” e “Civiltà presenti nella galassia più vicina (Andromeda) hanno inviato un segnale meno di 2,5 milioni di anni fa”. Vi è da obiettare, però, che la grande dimensione dell’Universo e le inimmaginabili distanze potrebbero conferire piena validità alla soluzione numero 3 se stessimo esclusivamente parlando di incontri ravvicinati con esseri alieni che hanno viaggiato su distanze inimmaginabili; invero, le onde radio viaggiano alla velocità della luce e questo aspetto, almeno in parte, riduce le distanze tra noi ed altri mondi. Ciò precisato, credo che questa soluzione sia la più convincente. La soluzione numero 4 è probabilmente, e nello stesso tempo, la più triste e la più inquietante. Recita infatti che “Altre civiltà esistono, ci hanno già individuato, ma non vogliono comunicare con noi”. Questo potrebbe dipendere essenzialmente da due motivi: o ci considerano troppo arretrati e non degni di instaurare qualsiasi tipo di contatto oppure hanno timore di noi e ci evitano per scongiurare problemi. Mi convince poco, perché sarebbe veramente difficile immaginare che tutti gli individui di un altro mondo non vogliano comunicare (scienziati, uomini desiderosi di stabilire un contatto avrebbero sicuramente la possibilità di trasmettere autonomamente messaggi nella spazio senza la collaborazione delle istituzioni ufficiali) e comunque una civiltà evoluta produrrebbe comunque onde elettromagnetiche anche in maniera inconsapevole, ad esempio con la propagazione nello spazio delle comunicazioni effettuate all’interno del proprio pianeta. L’inquietante corollario alla soluzione 4 è la “Teoria della foresta oscura”. Questa teoria afferma che lo spettro elettromagnetico spaziale è volutamente reso silenzioso da altre civiltà, ma che l’universo è come una foresta oscura, apparentemente calma e disabitata, ma piena di cacciatori nascosti nell’ombra. Secondo l’astronomo Brin, ogni civiltà in grado di viaggiare nello spazio è naturalmente portata a pensare, quando raggiunge un certo livello di sviluppo, che altre civiltà siano una minaccia e per questo le evita deliberatamente. Questo perché le risorse di ogni pianeta sono naturalmente finite ed ogni civiltà ulteriore è una minaccia per la sopravvivenza. Come si sarà capito, la soluzione numero 4 mi pare la meno consistente anche in ragione del fatto che l’unica civiltà che conosciamo, ovvero noi, si comporta in modo diametralmente opposto: trasmettiamo continuamente segnali radio, abbiamo inviato ben due sonde (Voyager 1 e 2) oltre i confini del Sistema solare e non facciamo nulla per rintanarci nella foresta oscura! La soluzione numero 5 recita che “Le comunicazioni ci sono, ci arrivano, ma noi non siamo in grado di riceverle o di decodificarle”. Infatti, noi cerchiamo di comunicare con onde elettromagnetiche: chi ci dice che altre civiltà non stiano usando altri sistemi a noi ignoti? Basti considerare che, prima delle scoperte e delle invenzioni di Guglielmo Marconi, anche le tecnologie che utilizziamo oggi ci erano sconosciute. Ma anche questa soluzione mi convince poco: se una civiltà aliena non è evoluta, allora non potrà inviare segnali (e quindi torneremo ad una delle soluzioni precedenti); ma se invece ha raggiunto un idoneo livello di sviluppo, è arduo pensare che non sia transitata, in un momento della propria evoluzione, attraverso l’utilizzo delle onde elettromagnetiche che pertanto sarà in grado di inviare e di decodificare. Di conseguenza, se una civiltà aliena ricevesse i nostri segnali e fosse in grado di rispondere, e volesse farlo, userebbe sicuramente mezzi di comunicazione compatibili con quelli che hanno prodotto il segnale da loro ricevuto. Concludendo, riassumo il mio pensiero sposando appieno la soluzione numero 3: “Altre civiltà esistono, ma sono troppo lontane”. Ne consegue che dovremo solo attendere perché, prima o poi, un contatto ci sarà.